Testamento solidale: tutto quello che c’è da sapere in 10 punti (parte 1)

1. Che cos’è un testamento solidale? Fare “testamento solidale” oppure un “lascito solidale” significa ricordare nel proprio testamento, in qualità di erede, una o più associazioni, organizzazioni, enti del Terzo settore, dando così la possibilità a un progetto di crescere e di svilupparsi grazie ai fondi garantiti dal proprio patrimonio. È un gesto semplice che non lede in alcun modo i diritti legittimi dei propri cari e familiari.

2. Come si fa un lascito solidale? Esistono tre modi per redigere un testamento. Il testamento olografo è un documento che mette per iscritto — obbligatoriamente a mano — le volontà testamentarie. Il testamento pubblico è un documento ufficiale redatto dal notaio in presenza di due testimoni. Infine, il testamento segreto è un documento caratterizzato dall’assoluta riservatezza del suo contenuto.

3. Chi può aiutarmi? Fare testamento può sembrare un’operazione semplice ma è consigliabile confrontarsi sempre con un notaio, anche quando si opta per un testamento olografo. Essendo la figura professionale più competente in materia testamentaria, il notaio può fornire consigli utili ed evitare di incorrere in errori: saprà suggerire le soluzioni migliori per evitare spiacevoli liti in famiglia e per facilitare all’ente beneficiario la piena disponibilità del lascito.

4. Il lascito solidale può essere modificato o revocato? Qualsiasi sia il tipo di testamento scelto, le disposizioni testamentarie possono essere revocate, modificate o aggiornate più volte e fino all’ultimo momento di vita, senza che vengano in alcun modo lesi i diritti legittimi dei propri cari e familiari. È bene ricordare che nel caso in cui non esistano parenti oltre il sesto grado, in assenza di testamento, il patrimonio verrà devoluto allo Stato.

5. Quali beni posso destinare nel lascito? Beneficiari dei lasciti solidali sono enti non profit (quindi associazioni, fondazioni, anche di intermediazione filantropica, comitati, charity trust) a cui possono essere destinati beni di diversa natura: immobili, denaro, titoli, partecipazioni societarie, opere d’arte, gioielli ecc. Alle disposizioni testamentarie può essere apposto un onere, che è un vero e proprio obbligo per l’ente beneficiario rispetto all’utilizzo dei beni lasciati. Ad esempio, si può indicare che quanto lasciato sia utilizzato per un progetto determinato. Oppure, ed è una situazione frequente, nel caso di lasciti a favore di enti che hanno per scopo la tutela degli animali si può vincolare il lascito al fatto che l’ente beneficiario si prenda cura dei cani o dei gatti del disponente, non essendo possibile per la legge italiana effettuare lasciti diretti agli animali in quanto non sono riconosciuti come soggetti di diritto. Nel lascito possono essere designati uno o più enti (a titolo di eredità o di legato) nelle stesse proporzioni o in quote diverse, o assegnando a ciascuno beni specifici. È importante che sia gli enti sia i beni siano correttamente individuati nel testamento, per evitare contestazioni. Nel caso di testamenti complessi o con molti beneficiari e beni da assegnare può essere opportuna la nomina di un esecutore testamentario, che dia attuazione alle volontà contenute nel testamento. Può essere anche importante valutare l’oggetto del lascito in considerazione delle dimensioni e della struttura organizzativa dell’ente, per facilitarne la gestione. Un altro strumento utilizzabile e che sta riscuotendo successo nell’ambito dei lasciti solidali è quello delle polizze assicurative sulla vita: anche in questo caso, infatti è possibile indicare come beneficiario non un individuo ma un ente.

 

Testamento solidale: i modelli filantropici europeo e italiano

La cultura sociale europea, in tutte le sue forme, non ha mai condiviso la visione americana che demanda al grande imprenditore privato il compito di “restituire” la propria fortuna alla collettività incentivando tale pratica attraverso politiche fiscali particolarmente generose. Ha invece fatto proprio – anche se in misura diversa a seconda delle varie stagioni politiche ed economiche – il principio della redistribuzione fiscale: è lo Stato, attraverso aliquote alte sui grandi patrimoni (anche oltre il 50%), che deve garantire in prima persona alcune prestazioni sociali di base – tutela della salute, pensione, istruzione – intese come diritti inalienabili dei cittadini. Diritti che, in quanto tali, non possono essere assicurati dall’iniziativa di charities o fondazioni private.

Ciò non vuol dire che non ci siano, anche in Europa, esempi di filantropia e/o mecenatismo privati comparabili per dimensioni con quelli di oltreoceano: si pensi ai francesi Bernard Arnault (Fondation Vuitton) e François Pinault (Bourse de Commerce, ma anche Palazzo Grassi e Punta della Dogana a Venezia). Tuttavia, avverte il finanziere e filantropo Francesco Micheli, per noi non è possibile ripetere la grandezza dei migliori modelli americani, essendo questi “nati da spazi e compiti che uno Stato più astensionista e molto poco provvidenziale, al contrario di quelli disegnati dalle (social)democrazie europee, ha lasciato a disposizione delle incursioni delle ricchezze private”.

Al tempo stesso, però, lo stesso Micheli (e con lui la moderna scienza economica e sociale) ricorda che da qualche decennio il modello europeo “non ce la fa più a sostenere un sistema di welfare e diritti che sembrava proiettato fino a coprire non solo i diritti sociali fondamentali (la pensione, la sanità, la scuola, il posto di lavoro con la cassa integrazione), ma anche i diritti culturali in senso più ampio. La stagnazione economica, la perdita di posti di lavoro e soprattutto l’inversione della piramide demografica (tanti vecchi, pochi giovani) rendono alcuni obiettivi insostenibili e impongono un maggiore impegno della società civile.

 

La filantropia italiana: familiare e vicina alle comunità locali

Nel contesto europeo la filantropia delle imprese private italiane si è caratterizzata per alcune specificità fin dal suo affacciarsi sulla scena tra seconda metà dell’Ottocento e inizio Novecento. Due le principali peculiarità:

  • ilcarattere familiare, derivante dall’impronta tipicamente familiare del capitalismo italiano, che porta diverse generazioni della stessa famiglia imprenditoriale ad occuparsi di filantropia, perlopiù attraverso Fondazioni create ad hoc e riportanti, spesso, il nome del capostipite/fondatore;
  • l’impegno a migliorare attivamente, in prima istanza, il territorio e le comunità in cui le aziende sono nate, operano e prosperano, nella convinzione che “solo crescendo tutti insieme si cresce davvero”. Questa vicinanza alla comunità locale non impedisce tuttavia ad alcune grandi Fondazioni private di occuparsi di problemi e contesti più ampi i cui orizzonti arrivano a coincidere con il benessere della popolazione mondiale (in particolare delle sue fasce più deboli/svantaggiate) e del pianeta.

Gli esempi storici di grandi filantropi italiani sono numerosissimi. E spesso, di generazione in generazione, arrivano ad oggi. Negli ultimi dieci anni il numero delle Fondazioni filantropiche è raddoppiato (ora sono 1.600), e nel solo 2016 le Fondazioni bancarie hanno erogato oltre 1 miliardo di euro (+10% rispetto ai 936,7 milioni del 2015), mentre le Fondazioni di impresa (131) hanno erogato nel 2015 circa 200 milioni. Sono inoltre cresciute le elargizioni dei High Net Worth Individuals (HNWI), coloro che in Italia detengono un patrimonio superiore al milione di euro: nel 2015 il 91% di loro ha effettuato una donazione (+11% rispetto al 2014) e il 27% ha aumentato le proprie elargizioni (+13%).

 

La filantropia moderna: al servizio delle grandi cause, efficiente, sostenibile

Qualunque sia il modello seguito, oggi la filantropia sta sempre più individuando un proprio spazio, autonomo e al tempo stesso rilevante, di co-protagonista per la soluzione dei grandi problemi che affliggono l’intera collettività. Nel contempo, anche il mondo dell’economia, dell’impresa e della produzione va sempre più comprendendo di non poter prescindere dalla volontà di contribuire a risolvere le grandi questioni che riguardano il pianeta e i suoi abitanti.

Il risultato è che la distanza tra for profit e non profit tende a ridursi progressivamente da entrambi i lati:

  1. da una parte, molte imprese cominciano a perseguire un business più in linea con i valori e le pratiche della sostenibilitàsociale e ambientale, intese non come “costo da pagare” ma come un fattore produttivo da valorizzare ai fini della reddi- tività a lungo termine dell’impresa. Una consapevolezza, questa, accentuata dalla crescente tensione “etica” manifestata anche sul versante del consumo, soprattutto fra i più giovani e i Millennials;
  2. dall’altraparte, per i teorici della filantropia moderna, questa deve sempre più avere una dimensione imprenditoriale e manageriale. Se è vero, come si è visto, che la filantropia nasce dall’“amore per l’essere umano” e dunque dalla volontà di “prendersi cura dell’altro”, questa volontà va accompagnata e seguita da un’alta dose di professionalità e di competenze specifiche, da capacità di analisi e programmazione, da un “saper fare” e, anche, un saper “far rete” che consenta di individuare i partner pubblici e privati, nazionali e internazionali, più adatti a raggiungere, insieme, lo scopo prefissato.

Filantropia moderna: i modelli americano e anglosassone a confronto

L’odierna filantropia si impernia sul concetto, di impronta statunitense, del “give back” alla collettività una parte (almeno) di quanto si ha avuto la fortuna (e il merito) di accumulare in vita. Questo concetto è stato espresso in forma chiarissima dal magnate dell’acciaio Andrew Carnegie (1835-1919), emigrato negli Stati Uniti dalla nativa Scozia. L’uomo che ha fatto costruire università, musei, biblioteche, teatri e molto altro ancora (un esempio per tutti, la Carnegie Hall di New York, una delle più importanti sale da concerto del mondo), teorizzò: “Un terzo dell’esistenza per studiare quanto più si può, un terzo per far soldi quanto più si può, un terzo per spenderli tutti per cause che ne valgano la pena”.

Fedele a queste parole, Carnegie accumulò una ricchezza comparabile alle maggiori fortune della new economy di oggi. Dopodiché ne donò, nei suoi ultimi 18 anni di vita, il 90%: 350 milioni di dollari di inizio Novecento, pari a 80 miliardi di dollari di oggi. Carnegie, dunque, considerava la “distribuzione” dei profitti, finalizzata al bene della collettività, un compito di esclusiva competenza dell’imprenditore privato, secondo una visione che, nelle sue varianti, è arrivata fino ad oggi.

Il ruolo degli eredi nella filantropia anglosassone
Da notare come questo modello di filantropia si rifletta pure nel cerchio interno delle grandi famiglie: nel mondo anglosassone è diventato ormai usuale ridurre in modo notevole il classico passaggio di eredità affinché i giovani eredi possano dimostrare – a sé stessi e agli altri – il proprio valore: “Voglio dare ai miei figli giusto quel che basta perché abbiano la sensazione di poter fare qualsiasi cosa ma non tanto da farli sentire come se non potessero fare niente”, ha dichiarato Buffett. Di identico tenore le dichiarazioni dei coniugi Gates: “I nostri figli riceveranno un’ottima istruzione e abbastanza soldi da non avere difficoltà economiche. Il resto del nostro denaro è destinato ad aiutare le persone più povere”.

Improntate allo stesso spirito sono le intenzioni espresse da altri big dell’economia e finanza e/o celebrities del mondo anglosassone: dall’amministratore delegato della Apple Tim Cook, che ha manifestato l’intenzione di lasciare tutti i propri averi in beneficenza dopo aver provveduto alle spese per l’educazione del nipote, al regista George Lucas, che ha detto di voler impegnare gran parte delle proprie risorse per supportare le future generazioni di studenti; dal magnate dei media Ted Turner, che ha coinvolto i figli nella propria fondazione benefica (“Quando morirò, gran parte della mia ricchezza se ne sarà andata in beneficenza”, ha dichiarato), all’attore Ashton Kutcher che recentemente ha annunciato, insieme alla moglie Mila Kunis, di voler lasciare i propri averi a sostegno delle grande cause sociali; la stessa scelta compiuta, al di qua dell’Atlantico, dal cantante Sting che destinerà il proprio patrimonio (e i fondi fiduciari che ne fanno parte) a sostegno di numerose cause umanitarie e ambientaliste.

Dalla stessa logica di lasciare i propri averi al bene della collettività possono derivare anche conseguenze curiose. Tra i casi di testamenti bizzarri ma comunque improntati all’interesse per il bene comune se ne possono citare alcuni resi noti qualche anno fa dal quotidiano britannico The Guardian, come quello dell’anonimo che, nel 1928, ha lasciato su un conto mezzo milione di sterline con l’indicazione che potranno essere prelevate dal Governo inglese quando saranno sufficienti a cancellare l’intero debito pubblico britannico; o quello del finanziere milionario Keith Owen che, nel 2007, ha donato oltre 2 miliardi di sterline al luogo di vacanza preferito, Sidmouth nel Devon, affinché nel suo territorio fossero piantati un milione di fiori che rendessero la zona ancora più bella. Infine, a inizio dello scorso agosto, ha fatto notizia anche sulla stampa italiana la notizia del lascito testa- mentario di 150 milioni di sterline dell’editore Felix Dennis, scomparso nel 2014, che saranno utilizzati per piantare 10 milioni di alberi e creare così un bosco di 100 chilometri quadrati non lontano da Londra.

La filantropia oggi: modelli, obiettivi, risultati

Le caratteristiche del testamento solidale e la sua crescente diffusione fanno del lascito solidale una delle forme più alte dell’odierna filantropia.

La filantropia nasce dalla passione, dalla sensibilità, in una parola dall’“amore per l’essere umano” (traduzione letterale dal gre- co antico), dalla volontà di “prendersi cura dell’altro”, in qualsiasi luogo e tempo si trovi, da cui consegue l’impulso individuale a donare e donarsi.
La filantropia oggi praticata in tutto il mondo è spinta da una serie di motivazioni:

  1. la crescita globale della ricchezza e, specie nei Paesi emergenti, dei “self made men” che hanno una spiccata propen- sione a donare, dare, nella logica di “restituire” alla società, in particolare alle categorie più bisognose/meritevoli (poveri, donne, bambini, giovani di talento), una parte importante di quanto da questa hanno ricevuto;
  2. l’aumento della conoscenza, grazie alla comunicazione, dei grandi problemi che l’umanità deve affrontare ogni giorno;
  3. la conseguente crescita della spinta a “fare qualcosa”, a “prendersi carico” della soluzione di una parte almeno di questi problemi.

Tutti noi possiamo fare la nostra parte, anche con poco.
Fare un lascito solidale significa:

  • garantire cibo, salute e istruzione a milioni di bambini;
  • aiutare le persone con disabilità ad integrarsi al meglio nei territori in cui vivono;
  • fornire servizi socio-sanitari adeguati;
  • preservare l’ambiente e promuovere la pace;
  • sostenere la ricerca scientifica contro malattie genetiche rare o patologie come la leucemia e la sclerosi multipla.

Lasciti solidali: 3 luoghi comuni da sfatare

Il lascito solidale è un gesto d’amore e altruismo che ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare.

Ecco 3 luoghi comuni sui lasciti solidali:

#1 “Il testamento solidale è roba da ricchi” – Non è così. Il lascito solidale è una forma di filantropia veramente alla portata di tutti. l testamento solidale è un lascito a favore di Enti, Associazioni e Organizzazioni non profit, una scelta che permette di contribuire a cambiare il mondo, anche dopo la vita. È un gesto semplice e non vincolante, che può essere ripensato e modificato in qualsiasi momento. Per farlo, non occorrono ingenti patrimoni: per sostenere il lavoro quotidiano di Associazioni impegnate nelle più importanti cause umanitarie e scientifiche, anche un piccolo lascito – una piccola somma di denaro, un bene mobile o immobile, una polizza – può fare la differenza.

#2 “Sono gli uomini che pensano al testamento” – La realtà è proprio l’opposto: il lascito solidale è “rosa”, come conferma anche una ricerca condotta lo scorso aprile dal Comitato Testamento Solidale tra le Organizzazioni aderenti per raccontare il fenomeno del lascito solidale dal punto di vista di chi opera per realizzare progetti in ambito umanitario, socio-sanitario e ambientale. Oltre a confermare la crescita di questo strumento di solidarietà concreta, l’indagine mostra che il lascito proviene in maggioranza da donatrici (61%), mentre per oltre il 30% il testamento solidale viene scelto in egual misura da uomini e donne.

#3 “Fare un lascito solidale penalizza i familiari” – Sbagliato: parliamo di un lascito in favore di una causa benefica inserito in un testamento che, secondo la normativa italiana, tiene sempre conto dei legittimi interessi degli eredi.

Il testamento solidale è una scelta che permette di contribuire a cambiare il mondo, anche dopo la vita. Un gesto semplice e non vincolante, che può essere ripensato, modificato in qualsiasi momento e senza che vengano in alcun modo lesi i diritti legittimi dei propri cari e familiari.